Abbigliamento Maschile
Un costume maschile?
Il punto interrogativo è certamente d’obbligo. E in effetti la coscienza di indossare un apparato vestimentario
fortemente caratterizzato non era presente, a livello maschile, se non in modo parziale e rispetto a certi indumenti.
Non dobbiamo d’altra parte dimenticare che l’uomo in alta Varaita era un migrante, spesso un “colporteur” impegnato
a farsi accettare da un mondo -città e soprattutto campagna- che lo giudicava, non sempre benevolmente, e poteva
rifiutarlo.
Una fotografia del museo, la più vecchia conservata, propone l’austera immagine di un uomo nato alla fine del ‘700 e
morto nel 1865. E’ un’immagine che ci riporta all’Ancien Régime: calze e pantaloni al ginocchio, le prime strette da
un nastro, giacca con le code. Ritardo culturale o consapevole scelta? L’immagine ricorda poche, analoghe fotografie
scattate in vicine regioni alpine. Si può parlare di un costume maschile alpino? O di una permanenza delle “culottes”
settecentesche e delle giacche a coda?
Non pochi anziani sono in grado di descrivere questo apparato per averlo visto indossare in occasione del Carnevale.
Un’anziana di Villaretto di Sampeyre (nata nel 1900) ricordava di aver visto uomini che portavano pantaloni al ginocchio
spesso di mezzalana, stretti alla vita da una fascia di lana che faceva due o tre giri . Ricorda pure giacche che avevano
le code, i
merlüsse e uomini che le indossavano. Le calze erano chiuse sotto il ginocchio con
lyachómbes (Bellino),
nastri spesso più sottili dei
kuřeòt non annodati (si facevano passare "sotto").
Lu trikò dez verlèros o dey girùns
Erano molto diffusi in tutta l’alta valle, fino a epoca abbastanza recente. Il bordo era cucito ai lati dell’apertura
anteriore, compreso il girocollo, e fasciava il
manjunét (il polso). Le strisce, di lunghezza variabile, giustificano
la denominazione dell’indumento a Pontechianale:
trikó dey girùns a Chianale,
trikó dez verlèros a Ponte.
A Chianale si può senz’altro parlare di una “maglia” realizzata con ferri piccoli, molto sottili, (a punto legaccio)
in lana sempre bianca. I bordi erano di lana nera, almeno in tempi recenti. A Ponte invece si impiegavano tessuti
diversi (sempre però bianchi o almeno chiari), per cui è forse più esatto parlare di un “corpetto”:
drap, mezzalana e
ovviamente maglia, soprattutto per le maniche. E le fasce di tessuto potevano avere colori vivaci, potevano essere di
percalle o in qualche caso di seta, soprattutto nei manufatti festivi.
A Sampeyre, in luogo del sistema di chiusura praticato in alta valle con
kurchét e
buyétte, c’era chi ricorreva a legacci
realizzati con sottili strisce di tessuto,
galùn o
bindèl che potevano essere di velluto, applicato a zig zag come i
denti di una sega, largo magari due dita.
Frequenti pure a Rore le decorazioni a
bekét: il corpetto era spesso di
drap (con maniche però di maglia), abbellito
da decorazioni a greca, a denti di sega di velluto nero o di altro colore, chiuse sul davanti con bottoni o
kruchét,
forse un tempo anche con fettucce.
La camicia
Il tipo di camicia maschile che si è conservato nei vecchi cassoni differisce da quello femminile su parecchi punti.
E’ molto spesso, come leggiamo negli inventari, di “toile ordinaire du pays”, ma già a fine ottocento si diffonde l’impiego,
per il tipo festivo, del lino, e di stoffe di acquisto sovente a righe per le altre.
Era regolare completare la camicia con un colletto di cotone, oppure di lasciarvela priva, “alla coreana”.
Le maniche sono più curate di quelle femminili. In alto, all’attaccatura della spalla, è frequente la presenza di un’arricciatura
che ritroviamo a ridosso del polsino. Questo, assente in molte camicie femminili, è chiuso da un bottone e in alcuni manufatti
particolarmente curati, da un bottone sferico di filo.
La caratteristica più vistosa è comunque l’apertura anteriore, dal collo fin quasi in vita, chiusa con bottoni. La lunghezza di
questa apertura è variabile (poche decine di centimetri) e termina in basso con un rettangolino di tela cucito perpendicolarmente
su cui talora sono ricamate le iniziali in filo colorato oppure con una più ampia fascia di tessuto. Ai lati dell’apertura la
camicia è ornata da una doppia serie di piegoline identiche fra loro, di numero affatto variabile (tre su ogni lato nelle
camicie da lavoro a Dragoniere), molto regolari, cucite con cura. Da questo punto verso il basso si aprono invece delle
pieghe sciolte.
A Casteldelfino i manufatti più raffinati avevano delle guarnizioni in pizzo al tombolo ai lati dell’apertura anteriore e
in alcuni casi anche ai polsi).
Lu masày
Il lungo berretto di lana che copriva il capo fino alle orecchie e anche più in basso se necessario, ripiegato su un lato,
ha costituito per lungo tempo una delle componenti più caratteristiche dell’abbigliamento maschile. Lungo in modo da poter
essere rimboccato, e terminante con un
masày, un fiocco di lana o di sottili strisce di tessuto, o un
pumét, di lana.